GIACOMO LEOPARDI E IL ROMANTICISMO
Per italiano avrei potuto scegliere uno dei tanti videogiochi come “Dante’s Inferno” o “the Kafka Videogame” che uscirà l’anno prossimo. Poi, navigando nella rete, ho scoperto una poesia di Giacomo Leopardi intitolata “ A un vincitore nel pallone ”, con mia grande sorpresa ho capito quanto il gioco possa affascinare anche i più importanti artisti dell’800 come appunto Giacomo Leopardi.
A un vincitore nel pallone
Di gloria il viso e la gioconda voce
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s'alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell'età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò la destra
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l'ardua palestra,
Nè la palma beata e la corona
D'emula brama il punse. E nell'Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi
Nelle pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido
L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtù nativa
Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negli egri petti avviva
II caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
Son l'opre de' mortali? ed è men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
Natura stessa: e là dove l'insano
Costume ai forti errori esca non porse,
Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch'alle ruine
Delle italiche moli
Insultino gli armenti, e che l'aratro
Sentano i sette colli; e pochi Soli
Forse fien volti, e le città latine
Abiterà la cauta volpe, e l'atro
Bosco mormorerà fra le alte mura;
Se la funesta delle patrie cose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fati, e la matura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fatto cortese
Dal rimembrar delle passate imprese.
Alla patria infelice, o buon garzone,
Sopravviver ti doglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
Che nullo di tal madre oggi s'onora:
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
Beata allor che ne' perigli avvolta,
Se stessa obblia, nè delle putri e lente
Ore il danno misura e il flutto ascolta
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteo, più grata riede
Di gloria il viso e la gioconda voce
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti
La sudata virtude. Attendi attendi,
Magnanimo campion (s'alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome), attendi e il core
Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell'età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò la destra
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l'ardua palestra,
Nè la palma beata e la corona
D'emula brama il punse. E nell'Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi
Nelle pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido
L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtù nativa
Le riposte faville? e che del fioco
Spirto vital negli egri petti avviva
II caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo instiga, altro che gioco
Son l'opre de' mortali? ed è men vano
Della menzogna il vero? A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
Natura stessa: e là dove l'insano
Costume ai forti errori esca non porse,
Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch'alle ruine
Delle italiche moli
Insultino gli armenti, e che l'aratro
Sentano i sette colli; e pochi Soli
Forse fien volti, e le città latine
Abiterà la cauta volpe, e l'atro
Bosco mormorerà fra le alte mura;
Se la funesta delle patrie cose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fati, e la matura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fatto cortese
Dal rimembrar delle passate imprese.
Alla patria infelice, o buon garzone,
Sopravviver ti doglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,
Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
Che nullo di tal madre oggi s'onora:
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
Nostra vita a che val? solo a spregiarla:
Beata allor che ne' perigli avvolta,
Se stessa obblia, nè delle putri e lente
Ore il danno misura e il flutto ascolta
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteo, più grata riede
Questa poesia fu ultimata nel Novembre 1821. Ed è dedicata a Carlo Didimi coetaneo di Leopardi nato a Treia un paesino nelle Marche vicino Recanati, quando scrisse questo componimento Giacomo non era ancora conosciuto e ammirava tantissimo, nel notissimo Carlo Didimi, non solo il giocatore che sempre riportava vittorie ma anche la figura dell’eroe coronato dalla fama che si era conquistato in tutta l’Italia. Un eroe contemporaneo, un eroe da celebrare. Leopardi esalta il vigore fisico e il coraggio dell’atleta e del gioco.
Leopardi nei primi versi afferma quanto il gioco sia più glorioso dell’ozio femminile e prosegue dicendo che il valore del giocatore e il suo nome sopravvivranno al passare degli anni e di quanto sia emozionante sentire nelle arene gridare il nome del campione.
La “sudata virtude”, ovvero il sacrificio e la lotta indispensabili per conquistare una vittoria, Leopardi li vedeva incarnati nel campione Treiese a tal punto da considerarlo un esempio per i giovani italiani; in lui erano presenti la forza, il vigore e la combattività, tutte virtù che egli aveva trovato nei giovani greci delle Olimpiadi che combattevano per difendere la patria.
Leopardi dice che da quando esiste il mondo le azioni degli uomini non sono che un gioco e la natura illude l’uomo, quell’uomo che si ostina a rimanere ancorato alle sue abitudini che gli impediscono di vivere le passioni gloriose, e si accontenta di vivere una vita squallida.
La vita deve essere vissuta appieno.
Leopardi dice ancora che bisogna guardare avanti essere rivolti al futuro se vogliamo evitare la rovina dell’umanità, altrimenti verrà il giorno in cui i colli di Roma saranno arati e non conserveranno più la potenza della Roma imperiale, o le città Europee saranno solo tane per volpi e tutto diventerà una scura foresta, i suoi sembrano quasi dei presagi. Infine il poeta si rivolge al personaggio che sembra essere un dono in una realtà sterile e termina la poesia ricordando ai lettori che in momenti di pericolo, in momenti prossimi alla dimenticanza di noi stessi, la nostra vita ci appare più gradita di quando, in momenti favorevoli, la disprezziamo; così il “vincitore nel pallone” sarà apprezzato come simbolo di figura virtuosa ed eroica .
Leopardi nei primi versi afferma quanto il gioco sia più glorioso dell’ozio femminile e prosegue dicendo che il valore del giocatore e il suo nome sopravvivranno al passare degli anni e di quanto sia emozionante sentire nelle arene gridare il nome del campione.
La “sudata virtude”, ovvero il sacrificio e la lotta indispensabili per conquistare una vittoria, Leopardi li vedeva incarnati nel campione Treiese a tal punto da considerarlo un esempio per i giovani italiani; in lui erano presenti la forza, il vigore e la combattività, tutte virtù che egli aveva trovato nei giovani greci delle Olimpiadi che combattevano per difendere la patria.
Leopardi dice che da quando esiste il mondo le azioni degli uomini non sono che un gioco e la natura illude l’uomo, quell’uomo che si ostina a rimanere ancorato alle sue abitudini che gli impediscono di vivere le passioni gloriose, e si accontenta di vivere una vita squallida.
La vita deve essere vissuta appieno.
Leopardi dice ancora che bisogna guardare avanti essere rivolti al futuro se vogliamo evitare la rovina dell’umanità, altrimenti verrà il giorno in cui i colli di Roma saranno arati e non conserveranno più la potenza della Roma imperiale, o le città Europee saranno solo tane per volpi e tutto diventerà una scura foresta, i suoi sembrano quasi dei presagi. Infine il poeta si rivolge al personaggio che sembra essere un dono in una realtà sterile e termina la poesia ricordando ai lettori che in momenti di pericolo, in momenti prossimi alla dimenticanza di noi stessi, la nostra vita ci appare più gradita di quando, in momenti favorevoli, la disprezziamo; così il “vincitore nel pallone” sarà apprezzato come simbolo di figura virtuosa ed eroica .
VITA E OPERA DI GIACOMO LEOPARDI
Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798. Era il primogenito di 10 figli e trascorse la sua fanciullezza con i fratelli a Recanati studiando prima con un precettore e poi da solo nella ricca biblioteca del padre. La madre era una donna austera e poco affettuosa. Leopardi era molto legato al suo luogo natale anche se fece alcuni viaggi. Leopardi si recò a Roma dove aumentò la sua malinconia e fu evidente la sua incapacità di relazionarsi, e poi a Firenze per avvicinare e per farsi conoscere dagli importanti scrittori del tempo. Andò anche a Napoli dove morì a 39 anni nel 1837.
Fin da quando era bambino si era dedicato a uno studio matto e disperato, era inoltre poco compreso dai genitori, fin da giovane, aveva una grande volontà di sapere e studiare; imparò presto il latino, il greco e l'ebraico ed anche alcune lingue straniere Inglese, Francese, Spagnolo.
Il Motivo ispiratore di Leopardi era il paesaggio di Recanati città amata e odiata allo stesso tempo.
Dalle finestre di casa sua Leopardi osservava tutte le cose e le persone e di tutto riusciva a capirne il significato più segreto riconoscendo il sentimento umano che vi era nascosto. Da questa sua capacità nasceranno le sue poesie in cui lascia testimonianza di una disperata solitudine che vive a Recanati.
Nelle sue opere Leopardi parla di alcune illusioni come la felicità che secondo lui si può raggiungere in due modi o uscire da un infelicità più grande di quella in cui si sta entrando o assaporare una felicità futura.
Il continuo lavoro di studio, la sua chiusura al mondo delle amicizie e degli affetti ed i suoi problemi fisici, fecero crescere in Leopardi una grande malinconia ed un forte pessimismo nei confronti della vita.
I principali temi del suo pessimismo furono la giovinezza perduta, l'infelicità dell'amore e della vita. Non trovò ne fidanzata ne moglie ed i suoi amori non furono mai ricambiati. Da ragazzo si innamorò della cugina Geltrude Cassi a cui dedicò la poesia “Il primo amore”; poi della figlia del fattore, Teresa Fattorini, alla quale dedicò la famosa poesia “A Silvia” ed infine, nel 1831 a Firenze, di Fanny Torgiani Tozzetti. Soffrì molto per questa donna che lo illuse e lo trattò molto male
Il suo Pessimismo si può racchiudere in tre fasi:
- Le esperienze dell'adolescenza e della prima giovinezza conducono Leopardi a pensare che la vita sia stata spietata con lui, ma che altri possono essere felici (pessimismo personale o soggettivo). Questa contrapposizione emerge, ad esempio, nel canto”… La sera del dì di festa…..”.
La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni nell'età piú bella.
Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giú da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore;
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l'altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s'affretta, e s'adopra
di fornir l'opra anzi al chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
- L’infelicità dell'uomo è un prodotto della ragione moderna; secondo il poeta di Recanati soltanto gli antichi, non condizionati dall'incivilimento dovuto alla ragione nel loro accostarsi alla natura e alla vita stessa, hanno potuto raggiungere una condizione, per quanto illusoria, di felicità.
Per Leopardi le epoche passate sono quindi migliori di quelle presenti. La natura, in questa fase del pensiero leopardiano, è ancora considerata benigna, perché, provando pietà per l’uomo, gli ha fornito l’immaginazione, ovvero le illusioni, le quali producono nell’uomo una parvenza di felicità. Nel mondo moderno queste illusioni sono però andate perdute perché la ragione ha smascherato il mondo illusorio degli antichi e rivelato la realtà nuda.(pessimismo umano)
- Approfondendo ulteriormente la riflessione, Leopardi perviene al cosiddetto pessimismo cosmico, ovvero a quella concezione per cui, contrariamente alla sua posizione precedente, afferma che l'infelicità è connaturata alla stessa vita dell'uomo, destinato quindi a soffrire per tutta la durata della sua esistenza. Per il poeta, la natura che ora viene considerata maligna, dopo aver generato un uomo, tende a eliminarlo per dar luogo ad altri individui in una lunga vicenda di produzione e distruzione, destinata a perpetuare l'esistenza e non a rendere felice il singolo. In altri momenti il Leopardi approfondisce la sua meditazione sul problema del dolore e conclude scoprendo che la causa di esso è proprio la natura, perché essa stessa ha creato l'uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che egli non può mai raggiungerla.
Una delle sue più importanti opere è” Lo Zibaldone” che è costituito da 4562 fogli di quaderno, pensieri , riflessioni annotazioni scritte giornalmente per 20 anni. Anche” l’Epistolario” è molto importante. Per scrivere le sue poesie lui adotta uno stile tutto nuovo la canzone in cui i versi non sono per forza legati dalle rime.
Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798. Era il primogenito di 10 figli e trascorse la sua fanciullezza con i fratelli a Recanati studiando prima con un precettore e poi da solo nella ricca biblioteca del padre. La madre era una donna austera e poco affettuosa. Leopardi era molto legato al suo luogo natale anche se fece alcuni viaggi. Leopardi si recò a Roma dove aumentò la sua malinconia e fu evidente la sua incapacità di relazionarsi, e poi a Firenze per avvicinare e per farsi conoscere dagli importanti scrittori del tempo. Andò anche a Napoli dove morì a 39 anni nel 1837.
Fin da quando era bambino si era dedicato a uno studio matto e disperato, era inoltre poco compreso dai genitori, fin da giovane, aveva una grande volontà di sapere e studiare; imparò presto il latino, il greco e l'ebraico ed anche alcune lingue straniere Inglese, Francese, Spagnolo.
Il Motivo ispiratore di Leopardi era il paesaggio di Recanati città amata e odiata allo stesso tempo.
Dalle finestre di casa sua Leopardi osservava tutte le cose e le persone e di tutto riusciva a capirne il significato più segreto riconoscendo il sentimento umano che vi era nascosto. Da questa sua capacità nasceranno le sue poesie in cui lascia testimonianza di una disperata solitudine che vive a Recanati.
Nelle sue opere Leopardi parla di alcune illusioni come la felicità che secondo lui si può raggiungere in due modi o uscire da un infelicità più grande di quella in cui si sta entrando o assaporare una felicità futura.
Il continuo lavoro di studio, la sua chiusura al mondo delle amicizie e degli affetti ed i suoi problemi fisici, fecero crescere in Leopardi una grande malinconia ed un forte pessimismo nei confronti della vita.
I principali temi del suo pessimismo furono la giovinezza perduta, l'infelicità dell'amore e della vita. Non trovò ne fidanzata ne moglie ed i suoi amori non furono mai ricambiati. Da ragazzo si innamorò della cugina Geltrude Cassi a cui dedicò la poesia “Il primo amore”; poi della figlia del fattore, Teresa Fattorini, alla quale dedicò la famosa poesia “A Silvia” ed infine, nel 1831 a Firenze, di Fanny Torgiani Tozzetti. Soffrì molto per questa donna che lo illuse e lo trattò molto male
Il suo Pessimismo si può racchiudere in tre fasi:
- Le esperienze dell'adolescenza e della prima giovinezza conducono Leopardi a pensare che la vita sia stata spietata con lui, ma che altri possono essere felici (pessimismo personale o soggettivo). Questa contrapposizione emerge, ad esempio, nel canto”… La sera del dì di festa…..”.
La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dí della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni nell'età piú bella.
Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giú da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore;
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l'altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s'affretta, e s'adopra
di fornir l'opra anzi al chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
- L’infelicità dell'uomo è un prodotto della ragione moderna; secondo il poeta di Recanati soltanto gli antichi, non condizionati dall'incivilimento dovuto alla ragione nel loro accostarsi alla natura e alla vita stessa, hanno potuto raggiungere una condizione, per quanto illusoria, di felicità.
Per Leopardi le epoche passate sono quindi migliori di quelle presenti. La natura, in questa fase del pensiero leopardiano, è ancora considerata benigna, perché, provando pietà per l’uomo, gli ha fornito l’immaginazione, ovvero le illusioni, le quali producono nell’uomo una parvenza di felicità. Nel mondo moderno queste illusioni sono però andate perdute perché la ragione ha smascherato il mondo illusorio degli antichi e rivelato la realtà nuda.(pessimismo umano)
- Approfondendo ulteriormente la riflessione, Leopardi perviene al cosiddetto pessimismo cosmico, ovvero a quella concezione per cui, contrariamente alla sua posizione precedente, afferma che l'infelicità è connaturata alla stessa vita dell'uomo, destinato quindi a soffrire per tutta la durata della sua esistenza. Per il poeta, la natura che ora viene considerata maligna, dopo aver generato un uomo, tende a eliminarlo per dar luogo ad altri individui in una lunga vicenda di produzione e distruzione, destinata a perpetuare l'esistenza e non a rendere felice il singolo. In altri momenti il Leopardi approfondisce la sua meditazione sul problema del dolore e conclude scoprendo che la causa di esso è proprio la natura, perché essa stessa ha creato l'uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che egli non può mai raggiungerla.
Una delle sue più importanti opere è” Lo Zibaldone” che è costituito da 4562 fogli di quaderno, pensieri , riflessioni annotazioni scritte giornalmente per 20 anni. Anche” l’Epistolario” è molto importante. Per scrivere le sue poesie lui adotta uno stile tutto nuovo la canzone in cui i versi non sono per forza legati dalle rime.
ROMANTICISMO
Nell’ 800 prende il via una nuova corrente letteraria il Romanticismo che interessò tutti gli aspetti della società del tempo. Esso si adattò alla storia e alla cultura dei vari popoli europei assumendo particolari caratteristiche nazionali.
Il termine romantic comparve per la prima volta in Inghilterra per descrivere una narrazione fantastica. Questo termine fu utilizzato in Germania per dare il nome a una nova corrente artistica che rivaluta la forza della fantasia e del sentimento.
L’ illuminismo si basava sulla fiducia della ragione che avrebbe determinato la nascita di un’epoca felice e aveva dato il via alla rivoluzione Napoleonica ma il dispotismo di Napoleone che in nome ella libertà aveva sottomesso interi popoli e i metodi repressivi della restaurazione delusero le aspettative e crearono uno stato d’animo di reazione contro l’illuminismo. La sensazione del fallimento della ragione favorì la riflessione interiore.
Mettendo l’illuminismo e il romanticismo a confronto possiamo capire che queste due correnti artistiche non differenziano in tutto ma sono l’una il continuo dell’altra. Il Romanticismo accettò e fece suo il principio illuministico della libera creatività individuale nella vita morale, sociale e culturale, ma invece di esaltare la ragione esalta il sentimento. Per i romantici ogni individuo è unico e irripetibile e questo concetto è in contrasto con quello degli illuministi che invece dicevano che tutti sono uguali. Per i romantici si era uguali per dignità e diritti ma non sul piano del sentimento. Il romanticismo fu l’epoca delle passioni travolgenti, degli eroi, delle lotte contro il potere costituito per il rinnovamento della società.
I romantici in campo politico esaltavano il popolo che raccoglieva in se le tradizione e la nazione che deve essere unica e unita con una propria fisionomia con un suo patrimonio spirituale storico e di ideali. Per quanto riguarda il culto del passato gli illuministi vedevano il medioevo come un periodo buio che non è stato illuminato dalla luce della ragione mentre i romantici guardavano il medioevo come un momento storico importante in cui si sono formati i comuni e gli stati nazionali. I romantici vedevano la storia come un’evoluzione, un progresso continuo dove il presente è il frutto del passato ed ha in se i presupposti del futuro. Il romanticismo ereditò dall’illuminismo tre concetti fondamentali: libertà ( libertà di pensiero di parola di stampa…), indipendenza ( ogni popolo ha il diritto di auto governarsi senza essere assoggettato a potenze straniere) e sovranità popolare ( il potere di governare spetta la popolo e non ad un unico sovrano).
Nell’ottocento alcuni scrittori divennero la coscienza del popolo, la sua guida spirituale, intraprendendone le aspirazioni, i bisogni, i sentimenti più profondi e furono pronti a combattere in prima persona nelle lotte di liberazione nazionali e sociali.
L’uomo romantico aveva un profonda inquietudine e un senso drammatico della vita, si rendeva conto di non poter dominare il proprio destino e di no saper dare risposte ai perché dell’esistenza umana e la sua realtà gli si presentava misteriosa e impenetrabile. Ciascun scrittore percorse strade diverse per esprimere i propri sentimenti.
Le forme più importanti della produzione letteraria romantica furono la lirica e il romanzo storico. La lirica è soggettiva e manifesta i sentimenti dell’artista. I principali esponenti in Italia di questo genere letterario furono Giacomo Leopardi e Ugo Foscolo. Il romanzo storico che era invece oggettivo è la rappresentazione della precisa realtà storica e sociale in cui sono calati personaggi immaginari. Il maggiore esponente era Alessandro Manzoni.
Nell’ 800 prende il via una nuova corrente letteraria il Romanticismo che interessò tutti gli aspetti della società del tempo. Esso si adattò alla storia e alla cultura dei vari popoli europei assumendo particolari caratteristiche nazionali.
Il termine romantic comparve per la prima volta in Inghilterra per descrivere una narrazione fantastica. Questo termine fu utilizzato in Germania per dare il nome a una nova corrente artistica che rivaluta la forza della fantasia e del sentimento.
L’ illuminismo si basava sulla fiducia della ragione che avrebbe determinato la nascita di un’epoca felice e aveva dato il via alla rivoluzione Napoleonica ma il dispotismo di Napoleone che in nome ella libertà aveva sottomesso interi popoli e i metodi repressivi della restaurazione delusero le aspettative e crearono uno stato d’animo di reazione contro l’illuminismo. La sensazione del fallimento della ragione favorì la riflessione interiore.
Mettendo l’illuminismo e il romanticismo a confronto possiamo capire che queste due correnti artistiche non differenziano in tutto ma sono l’una il continuo dell’altra. Il Romanticismo accettò e fece suo il principio illuministico della libera creatività individuale nella vita morale, sociale e culturale, ma invece di esaltare la ragione esalta il sentimento. Per i romantici ogni individuo è unico e irripetibile e questo concetto è in contrasto con quello degli illuministi che invece dicevano che tutti sono uguali. Per i romantici si era uguali per dignità e diritti ma non sul piano del sentimento. Il romanticismo fu l’epoca delle passioni travolgenti, degli eroi, delle lotte contro il potere costituito per il rinnovamento della società.
I romantici in campo politico esaltavano il popolo che raccoglieva in se le tradizione e la nazione che deve essere unica e unita con una propria fisionomia con un suo patrimonio spirituale storico e di ideali. Per quanto riguarda il culto del passato gli illuministi vedevano il medioevo come un periodo buio che non è stato illuminato dalla luce della ragione mentre i romantici guardavano il medioevo come un momento storico importante in cui si sono formati i comuni e gli stati nazionali. I romantici vedevano la storia come un’evoluzione, un progresso continuo dove il presente è il frutto del passato ed ha in se i presupposti del futuro. Il romanticismo ereditò dall’illuminismo tre concetti fondamentali: libertà ( libertà di pensiero di parola di stampa…), indipendenza ( ogni popolo ha il diritto di auto governarsi senza essere assoggettato a potenze straniere) e sovranità popolare ( il potere di governare spetta la popolo e non ad un unico sovrano).
Nell’ottocento alcuni scrittori divennero la coscienza del popolo, la sua guida spirituale, intraprendendone le aspirazioni, i bisogni, i sentimenti più profondi e furono pronti a combattere in prima persona nelle lotte di liberazione nazionali e sociali.
L’uomo romantico aveva un profonda inquietudine e un senso drammatico della vita, si rendeva conto di non poter dominare il proprio destino e di no saper dare risposte ai perché dell’esistenza umana e la sua realtà gli si presentava misteriosa e impenetrabile. Ciascun scrittore percorse strade diverse per esprimere i propri sentimenti.
Le forme più importanti della produzione letteraria romantica furono la lirica e il romanzo storico. La lirica è soggettiva e manifesta i sentimenti dell’artista. I principali esponenti in Italia di questo genere letterario furono Giacomo Leopardi e Ugo Foscolo. Il romanzo storico che era invece oggettivo è la rappresentazione della precisa realtà storica e sociale in cui sono calati personaggi immaginari. Il maggiore esponente era Alessandro Manzoni.